The last letter to Bocconi – 16 maggio 2018

Caro Rettore

desidero ringraziarti per le affettuose parole con le quali hai desiderato accompagnare la lettera formale che mi ha annunciato la “messa a riposo” con l’inizio del prossimo anno accademico.

Questi 50 anni bocconiani sono fluiti come un lampo ma sono colmi di tante soddisfazioni e di molta felicità. La Bocconi, la nostra Università è sempre “più bella e più attraente”.

Quando ho ricevuto la tua comunicazione ufficiale ho pensato fosse un’occasione anche per me, alla conclusione del percorso accademico, per scriverti qualche pensiero. Questa lettera è inviata anche al Comitato Rettorale e al Consiglio di Amministrazione, con l’auspicio che sia utile per tutti voi, per condividere una riflessione “strategica”.

I fondamentali della nostra Università sono molto positivi. La Bocconi scala costantemente i ranking più ambiziosi. I suoi discenti, i nostri clienti, si sentono dei veri privilegiati nel momento della loro cooptazione perché sanno che la selezione alla quale hanno partecipato è stata severa e l’Università, ove si stanno formando, li aiuterà nel loro progetto di crescita professionale.

Quindi tutto bene. Quando va tutto bene è altrettanto difficile pensare che si debba cambiare, rassicurati anche da vecchi e apparentemente saggi adagi che ricordano di “non cambiare la vecchia strada per la nuova”.

Non desidero pappagallare quanto ricordiamo nelle aule manageriali della SDA ma spesso si rammenta alle imprese di iniziare una riflessione per predisporsi al cambiamento radicale proprio quando le cose vanno bene. Farlo “dopo” può risultare non solo difficoltoso ma a volte troppo tardivo.

Nelle pagine che seguono trovate, mi auguro, alcuni spunti di riflessione che probabilmente sono già nella vostra Agenda:

 

 

  • Governance

Le linee di Governance del nostro Ateneo si occupano di disciplinare diversi aspetti ma forse non quello più rilevante: la gestione duale tra accademia e amministrazione.

Al Presidente oggi riportano il Rettore e il Consigliere Delegato, ognuno “apparentemente” per le proprie competenze e responsabilità. Ho già più volte scritto e ricordato che la responsabilità di indirizzo strategico e di gestione deve essere assegnata solo ed esclusivamente al Rettore, che la svolge riferendo al CDA e al suo Presidente, nel rispetto delle linee guida del Piano Strategico che viene condiviso.

Il Consigliere Delegato o sarebbe meglio dei Direttori Generali, responsabili delle diverse competenze amministrative, gestionali e finanziarie al pari dei vari Dean, della parte accademica, devono rispondere invece direttamente al Rettore, che ne coordina e indirizza il loro operato.

Essendo questo un tema delicato, auspicherei che si procedesse con una attenta ricognizione sulla Governance di altre buone Università internazionali per verificare, attraverso un benchmark, le modalità adottate, per trarne qualche spunto e scrivere una nostra Governance, adatta ed efficace per governare la distintività della Bocconi.

I componenti del CDA, che hanno esperienza di impresa, comprendono i rischi e le difficoltà di una gestione duale.

Mi permetto, tra le varie, di far rilevare che mentre per il corpo accademico sono definiti chiaramente i tempi di messa a riposo ciò non vale per altri incarichi e sono assenti principi analoghi. L’attuale Consigliere Delegato, non me ne voglia l’amico Bruno, è rimasto operativo sino alla veneranda età di 77 anni. I tempi di carica dovrebbero, democraticamente, valere per tutti gli incarichi, anche quello del Presidente e dei componenti del CDA.

Ritengo sia difficile sostenere i principi del così detto “ricambio generazionale” se la Bocconi non è la prima a dimostrarlo nei fatti.

Altro aspetto importante della Governance è la nomina dello stesso Rettore che a molti non risulta adeguatamente trasparente.

 

  • Piano Strategico

Da quando ero “giovinetto” mi ha sempre impressionato favorevolmente la capacità della nostra Università di mettersi in gioco per cambiare e scrivere il suo destino sulla base di una “vision” condivisa.

Forse sarebbe nuovamente ora di rimboccarsi le maniche per affrontare il nostro futuro tentando di elaborare degli scenari veramente “audaci”.

I quesiti ai quali dovremmo rispondere sono tanti. Quale è il futuro di una Università di Scienze Sociali nell’epoca delle “Exponential Technologies”? Quale sarà, in tale prospettiva, il futuro dei nostri e attuali corsi di laurea? Saranno ancora adeguati per contenuti e professionalità offerti? Risultano adeguati alla domanda emergente di nuovi e rinnovati profili professionali? Quali nuovi corsi di laurea devono essere immaginati? Quali nuove competenze scientifiche devono essere internalizzate in Bocconi?

L’elenco delle domande potrebbe proseguire con altri e più dettagliati quesiti.

Molti di noi sono probabilmente documentati, con le ricerche già oggi disponibili, sui cambiamenti in atto nella domanda di nuove professionalità sia nelle competenze scientifico disciplinari che li devono caratterizzare.

Tutti i nostri colleghi condividono le stesse ansie e ne sono realmente a conoscenza? Saprebbero elencare le competenze che tali nuovi profili sollecitano? La nostra Università sta sviluppando delle ricerche approfondite su tale tema, sollecitando il contributo anche dei nostri Advisor? Prevediamo di organizzare dei seminari interni per generare senso di urgenza e sollecitare una riflessione del corpo docente sulle sfide che lo attende?

Il successo conseguito dal lancio del nuovo corso di laurea “DSBA: Data Science and Business Analytics” è un importante indizio delle opzioni strategiche che possono essere formulate.

Se esaminassimo invece i piani di studio di molti dei nostri attuali corsi di laurea rileveremmo che non solo sono ortodossi e convenzionali ma si espongono anche al rischio di divenire arcaici e presto obsoleti.

In occasione di cambiamenti radicali di scenario, nelle imprese più avvedute si attivano due team di ricerca. Il primo, il Team del Presente, dedicato alla riprogettazione incrementale della proposizione di valore attualmente offerta, il secondo, il Team del Futuro, alla realizzazione di innovazioni più radicali.

Mi permetto anche un ulteriore azzardo, ricordando, a costo di essere scortese o naturalmente smentito, che stiamo ancora insegnando e tratteggiando imprese fondate su Business Model in via di rapida obsolescenza. Le imprese, oggi, sono molto più avanzate nell’adeguamento dei loro Business Model rispetto a quanto “sanno” di loro le Università e ciò presumo valga anche per noi.

Le imprese di oggi sono le imprese 4.0, quelle che sviluppano prodotti “aumentati” basati sui principi dell’Internet of Things, sono imprese “digital first”, sono imprese “platform” che sfruttano con modalità paradigmatiche rivoluzionarie le esternalità positive e negative della Rete.

Quale dei nostri attuali corsi di laurea è adeguato per esporre i nostri discenti a tali sfide e a tali specificità paradigmatiche?

Sottolineo con forza tali considerazioni, riconoscendo che i tempi necessari ad una Università per dotarsi, a sua volta, di nuove competenze e di una Faculty adeguata sono lunghi. Se non ci si attiva per tempo si rischia di arrivare in grande ritardo e addirittura impreparati.

 

  • Modello Pedagogico

La parola “Universitas” sottende un luogo ove si genera conoscenza e la si dissemina tra i discenti.

I meriti di una Università dipendono infatti dalla qualità della sua produzione scientifica e dalla distintività e qualità dei suoi discenti.

Molti di noi sostengono che un dovere fondamentale di una Università sia la preparazione e formazione dei suoi discenti per aiutarli, con il suo imprinting, a divenire dei cittadini responsabili ed “unici” per competenze e comportamento.

Mi chiedo quindi se siamo certi che il nostro modello pedagogico sia adeguato e rispondente a tali principi.

Mi pongo tale quesito perché constato che il numero medio degli studenti nelle classi, in molti dei nostri corsi di laurea, varia da 80 a 90. Un numero significativamente elevato sia per garantire efficacia al processo di apprendimento sia, comparativamente, alla media rilevabile in altre Università Internazionali.

Sono conscio che tale scelta è obbligata dal nostro “revenue model” che dipende sostanzialmente dalle tuition pagate dai nostri discenti. Siamo quindi costretti a riempiere le aule per massimizzare i ricavi, per sostenere i relativi costi di gestione. Ad oggi abbiamo bel 14.147 discenti che frequentano i vari corsi offerti dalla Bocconi. Siamo praticamente una Teaching University con ambizioni, comunque confermate, di Research University. Solo la nostra Università riesce a realizzare tale apparente paradosso.

Perdonate la parola cruda, ma non credo che tale nostra scelta sia propriamente “deontologica”. Richiediamo un onere elevato ai nostri discenti (in media 12.500 euro per anno) superiore, a volte, a quanto richiesto in altre Università internazionali, senza poter garantire un processo di apprendimento, in funzione di quanto sborsato, di “elevata se non straordinaria qualità”.

Con classi più contenute di “almeno” 40/50 studenti (la media in altre Università scende quasi a 30 discenti per classe) si possono adottare e sperimentare metodi pedagogici di apprendimento molto efficaci per fare dei nostri discenti dei cittadini “unici e speciali”, potendo agire in profondità sul potenziamento delle loro competenze riconducibili all’intelligenza speculativa, concreta e a quella sociale.

Cittadini che sarebbero ancor più apprezzati, rispetto a quanto lo sono già, dalle imprese e dalle istituzioni ove operano, per la loro straordinaria professionalità e per i loro comportamenti proattivi. Ciò farebbe della Bocconi anche una Università veramente diversa, speciale ed unica.

Quando ci siamo confrontati su questo delicato ed importante aspetto abbiamo dovuto riconoscere che oggi sussistono alcuni vincoli:

 

  1. non è possibile ridurre il numero programmato degli studenti perché tale scelta impatterebbe sul nostro revenue model
  2. non è possibile aumentare le classi, riducendone il numero dei discenti, mantenendo invece il loro numero totale, perché, prosaicamente, mancano gli edifici dedicati alla didattica
  3. non è possibile aumentare le classi perché, ancor più critico, non disponiamo di una faculty adeguata per numero.

Tutti questi “non è possibile” sono certamente delle considerazioni comprensibili ma, forse, aggirabili con scelte coraggiose.

Se non fosse possibile ridurre il numero totale degli studenti iscritti in Ateneo sarebbe invece possibile:

  • dedicare o costruire un nuovo edificio con aule proporzionate al progetto
  • dedicare o costruire un edificio dedicato ai nostri studenti per i lavori di gruppo o per i progetti sul campo o allo studio individuale o sociale. Oggi non sono disponibili adeguati spazi dedicati a tali attività che sono rilevanti ed importanti per l’apprendimento ed il lavoro in team. Gli studenti, come sappiamo, invadono ogni luogo non sapendo dove poter studiare e lavorare.
  • strutturare una “faculty” duale. Potenziando la faculty, come illustrerò nel paragrafo seguente, con docenti più dedicati sia al teaching sia alla ricerca applicata.

 

  • Faculty Duale

L’accenno precedente alla creazione di una Faculty Duale ritengo sia un altro tema di riflessione.

Lo sforzo devoluto in questi ultimi anni si è orientato allo sviluppo di una Faculty qualificata per la qualità della sua ricerca e produzione scientifica nonché per l’internazionalizzazione della sua provenienza. L’obiettivo è stato raggiunto con efficacia ed è costantemente in progressione e sviluppo.

La Faculty così detta strutturata è comunque prevalentemente motivata ed interessata alla ricerca di base. La competizione nel mondo accademico e la carriera accademica richiedono ai docenti una produzione scientifica molto sfidante per quantità e qualità. Senza numerose e qualificate pubblicazioni, come si sa, non si consegue la “tenure”. Tutto ciò ha comportato un significativo disinteresse all’insegnamento e all’affiancamento dei nostri studenti. Non solo nei lavori di tesi ma soprattutto nella sperimentazione di nuovi metodi pedagogici, nella produzione di materiale didattico, efficace ed innovativo. E’ inutile nascondercelo ma l’aspirazione di molti colleghi è di ottenere, con la produzione scientifica, il “teaching discount”, cercando così di sottrarsi ulteriormente agli impegni didattici.

Ritengo che la Faculty non abbia molti torti. La loro carriera dipende prevalentemente dalle pubblicazioni in un’ottica “publish or die” e quindi le priorità sono guidate da tali obiettivi.

Mi chiedo se, per perseguire l’obiettivo del miglioramento del modello pedagogico, non sia quindi possibile ed opportuno sviluppare, al fianco della Faculty strutturata, una Faculty caratterizzata dalla figura del Professor of Practice or Clinical Professor of Management, Finance, Economics, Law, ecc. (figura prevista ma mai attivata su scala).

Questi colleghi potrebbero sostenere un ruolo rilevante. Permettere, come suggerito, di aumentare il numero delle classi, dedicandosi e assistendo i nostri studenti, garantendo una qualità elevata di insegnamento e contribuendo alla produzione di materiale didattico. Il loro contributo sarebbe anche utile per i colleghi “scienziati” meno interessati, in alcuni casi, a svolgere attività didattica.

I Clinical Professor potrebbero inoltre dedicarsi anche alla “ricerca applicata”. La ricerca applicata è una attività non praticata con entusiasmo dalla Faculty strutturata perché rispetto a quella di base, più speculativa, non genera pubblicazioni qualificate. La ricerca applicata invece è rilevante per le imprese e le istituzioni perché risponde a problemi contingenti, cogliendo accadimenti relativi a fatti e fenomeni più concreti ed attuali. Ne sono un buon esempio il Politecnico con i suoi Osservatori o altre Università internazionali che hanno integrato, con tali figure professionali, la loro Faculty strutturata, impiegandola anche nei Centri di Ricerca.

Colgo l’occasione per ricordare che nei Dipartimenti così detti aziendalistici, molti docenti non frequentano ne conoscono adeguatamente le imprese, rischiando di essere sempre più distaccati dai problemi rilevanti e contingenti, sollecitati dai cambiamenti strutturali in atto nei mercati e indotti dalla sfida competitiva.

 

  • Riorganizzazione dell’Università per Scuole

Oggi la Bocconi è organizzata con una School of Law, una Ph. D. School, una Business School (la SDA Bocconi) e le Undergraduate e Graduate School. Mentre le prime hanno una mission definita. Le ultime due, la Undergraduate e Graduate School aggregano in realtà solo la miscellanea dei corsi di laurea che oggi offriamo al nostro mercato.

Le domande che possiamo porci sono puntuali: la struttura organizzativa attuale aiuta a definire e realizzare strategie innovative di ricerca e formazione nei diversi ambiti disciplinari? Aggrega intimamente e inclusivamente la Faculty? Permette di evidenziare la vera distintività della Bocconi?

Il nostro modello organizzativo non solo non è ben compreso quando lo descriviamo in contesto internazionale ma rischia anche di non sfruttare le potenzialità che potrebbero derivare se i vari Dipartimenti dell’Università fossero aggregati in Scuole capaci di esprimere una propria distintività sia di ricerca scientifica sia di offerta di prodotti culturali. Le diverse Scuole (l’equivalente di Strategic Business Unit nelle imprese), quali ad esempio una School of Management, School of Economics&Finance, School of Government &Political Science, potrebbero essere invitate a produrre propri piani strategici di sviluppo, rendersi proattive nella ricerca e sviluppo di nuove competenze, necessarie per perseguire la propria mission, nella progettazione e realizzazione di nuovi prodotti culturali, nella selezione della faculty più rispondente ai loro bisogni ecc. Le Scuole potrebbero inoltre integrare i corsi di Laurea a loro attinenti e i relativi Centri di Ricerca.

Tale scelta organizzativa potrebbe inoltre contribuire a rinnovare la stessa Governance dell’Università, richiamata al punto 1. Le Scuole diverrebbero delle unità coese e convergenti per risorse e competenze impiegate. Indirizzate a servire il proprio mercato di riferimento in termini di ricerca e di formazione.

Mi sono accorto di aver riempito diverse pagine e pur essendoci molte altre cose da commentare, non desidero tediarvi ulteriormente nella lettura.

Spero veramente che molte delle considerazioni siano già all’ordine del giorno nella vostra agenda. Se non lo fossero sono veramente felice di aver trasferito qualche stimolo di riflessione.

Amiamo tutti così tanto la nostra Bocconi che vorremmo che fosse ancor più grande e irresistibile di quanto è già oggi. Di questi risultati sono veramente riconoscente a chi ci ha preceduto perché senza il loro contributo, nel rispetto della teoria delle opzioni adiacenti, la Bocconi non sarebbe quello che è oggi e, senza quanto si sta realizzando oggi, non sarà quello e quanto diverrà domani.

Saluti cari

Condividi